Prima Squadra

ONE ON ONE: ALFRED DUNCAN

Crescere ad Accra, diventare uomo in Italia, combattere il razzismo. Duncan si racconta.

22 marzo 2022

Crescere ad Accra, diventare ragazzo e uomo in Italia, arrivare in Serie A. Con serietà e con a cuore le battaglie sociali vere, in primis l’educazione ed il razzismo. Alfred Duncan si racconta.

IL CALCIO

"Il calcio per me significa la cosa più desiderata. 

E’ la cosa più bella che mi sia capitata. Ho avuto la fortuna di amare il calcio da piccolo, ed è tutto.

E’ quello che mi rende più felice nel complesso, quindi per me è tutto".  

IL PICCOLO ALFRED

"Alfred è cresciuto in un quartiere di Accra dove vivono l’80% mussulmani e il 20% cristiani. E’ un quartiere un po’ particolare, non è bellissimo, ma è lì che sono cresciuto. Sono cresciuto come ragazzo. Sono diventato un ragazzo tosto, grazie a questo quartiere. 

Ho iniziato giocando per strada, con i miei amici, divertendosi. Ed è questo che mi ha aiutato a diventare quello che sono. 

E’ un quartiere tosto, succedono anche delle brutte cose. C’è tanta violenza. Ma oltre a questo ci sono tante cose belle. 

Quando dico cose violente intendo non gente che magari muore, ma gente che guarda la partite tra bambini di 6-7 anni che giocano a calcio cinque contro cinque, e scommettono. E quando una squadra perde succedono i casini. Tra arbitro e altre cose. E succedono queste cose anche per delle partite tra bambini di 6 anni. Quindi è un quartiere un po’ particolare… 

Ho giocato tantissime di queste partite. Già da quando avevo 7 anni, c’era gente che veniva a chiamarci, a me e ai miei amici, solo per scommettere su di noi. Noi non ci guadagnavamo niente, era soltanto per giocare, per noi era divertimento, la cosa più bella che ci potesse capitare. Perciò andavamo a giocare, vincevamo spesso, ma tanti alla fine si facevano male perché essendoci le scommesse tutti facevano di tutto per vincere. Di queste partite ne ho giocate tantissime. 

E questo mi ha aiutato anche a diventare un po’ tosto. 

Prima ero molto leggero, ma giocando queste partite sono diventato tosto".

ESSERE TOSTI

"Tutto ciò che ho imparato ad Accra l’ho portato con me in Italia. E’ questo che mi ha completato. Senza questo non si può arrivare a certi livelli. 

Quando uno è ‘moscio’ deve avere qualità. Messi, per esempio, non ha la cattiveria di difendere, ma quando ha la palla tra i piedi ha la qualità per risolvere le partite. 

Quindi o sei Messi, o devi essere qualcos’altro". 

IL TRASFERIMENTO IN ITALIA

"Una volta che sono arrivato in Italia ho cercato di imparare le cose velocemente. Soprattutto la lingua. Arrivare in un paese che non conoscevo, non è stato facile, soprattutto ambientarsi. 

Avevo voglia di imparare cose nuove, conoscere persone, fare nuove amicizie. Ho cercato di imparare tutto da tutti quelli che mi stavano intorno. 

Ed è questo che mi ha aiutato: ho preso le cose positive da ciascuno. Questo mi ha aiutato a capire la lingua e per studiare e giocare a calcio. 

Tra le prime persone che ho conosciuto a Milano, c’è Alfonso Bonito, il tutore del convitto dove i ragazzi dormono. Per me è stato un padre. Mi ha educato tanto, mi ha fatto capire tante cose dell’Italia, nei primi anni in cui non capivo tanto. Mi ha aiutato a crescere sotto tanti punti di vista. Lui mi diceva sempre di essere paziente e sincero con me stesso. Penso che questo lo ricorderò per sempre.

Cerco di portarlo in tutte le cose che faccio". 

ARRIVARE IN SERIE A

"Arrivare in Serie A non è facile. Ci sono tanti giocatori con le qualità, ma poi fanno fatica ad arrivarci. Devi essere anche tollerante. Perché non è facile. 

Non è facile essere in una squadra, avere giocatori con qualità diversa, nello stesso ruolo, e tu devi cercare di essere diverso. Devi tollerare magari non giocare tutte le partite. Magari con le tue caratteristiche puoi fare la differenza, in un modo o nell’altro. 

Devi tollerare tutti, e avere la consapevolezza di avere una qualità diversa dagli altri.

La pressione esiste, deve essere così e può essere un fattore determinante. Un giocatore può avere delle qualità spaziali, ma le partite si ‘sentono’. Ed è giusto anche avere questa paura. Perché se non hai paura vuole dire che non ci tieni a ciò che fai. 

Giocare davanti a tanti tifosi deve essere uno stimolo. Sicuramente non lo è per tutti, perché non tutti hanno questa forza e sicurezza. Ma penso che dopo un paio di anni uno deve essere capace di assumersi le responsabilità di quello che ha. 

Io per esempio ho fatto la scelta di accettare la Fiorentina anche per questo motivo. Un conto è giocare davanti a 10.000 tifosi, un conto 40.000. Fa un altro effetto. 

Devo essere sincero. Nei primi miei anni in Serie A non avevo ‘paura’, ma avevo qualche tensione in più quando giocavo a Napoli, perché hanno un tifo che da fastidio all’avversario.

Prendersi le responsabilità, e un certo tifo deve essere uno stimolo per i giocatori". 

AMICIZIA

"Finora le mie amicizie non sono cambiate durante la mia carriera. Sono un ragazzo un po’ serio, i miei amici sono rimasti sempre gli stessi, non li ho mai cambiati. 

Sicuramente qualcosa è cambiato da parte loro, mi danno più rispetto perché mi vedono a un livello in cui prima non ero. Gioco in Serie A, con giocatori importanti. Mi guardano sempre in TV.

Magari fino a 15 anni fa mi vedevano nel quartiere, camminando per strada e giocando con gli amici. Adesso mi vedono a un livello alto, e mi portano rispetto. Ma io cerco sempre di fargli capire se anche se sono arrivato qui sono sempre lo stesso. Sono quel ragazzo che hanno conosciuto quando eravamo piccoli. 

Con loro faccio sempre le stesse cose che ho sempre fatto.

Non è mai cambiato niente". 

AMICIZIE NEL CALCIO

"Sicuramente nel corso di una carriera conosci delle persone a cui ti affezioni un po’ di più. Oltre ad essere compagni di squadra sono anche amici.

Io ne ho avuti tantissimi. All’interno del mondo del calcio trovi persone non vere, e persone vere. E con il passare degli anni riesci sempre a capire. Sono rimasto sempre legato a tantissimi.

Le amicizie son importanti all’interno del gruppo squadra. Con qualcuno vai più d’accordo, con qualcuno meno, ma penso che gli amici poi si vedono con quello che fanno anche fuori dal campo.

Con Igor mi trovo bene, perché abbiamo una sintonia un po’ particolare. Abbiamo lo stesso modo di fare le cose. E’ un ragazzo tranquillo come me, è serio quando lo deve essere, come me. E’ un ragazzo che tiene alla famiglia. E’ più chiuso in casa, esce poco, come me. Abbiamo questa sintonia.

Con tanti altri negli anni. Ad esempio Bessa, che ho salutato dopo Fiorentina-Verona, l’ho conosciuto quando sono arrivato in Italia, agli Allievi Regionali all’Inter. Ci conosciamo da quando avevamo 14 anni. Siamo rimasti quasi sempre in contatto e parliamo tanto, anche di vita privata. Lo stesso con Mbaye del Bologna. 

Siamo sempre rimasti legati, e quando ci vediamo è sempre un piacere". 

ESSERE O NON ESSERE SERIO

"E’ importante non prendersi troppo sul serio. Ma tante volte comunque per ottenere i risultati migliori bisogna essere seri in tutto quello che si fa. 

Si scherza e si ride, ma ci deve essere un limite. 

La serietà è la cosa più importante del lavoro". 

LA FIORENTINA DI MISTER ITALIANO

"Il rapporto con il Mister è buono, e penso che tutti i ragazzi hanno un rapporto buono con il Mister.

Sappiamo quanto è tosto il Mister, sappiamo quanto ci tiene a quello che facciamo in campo e fuori. E’ uno che cerca sempre di dare una mano, aiutarci anche fuori dal campo. Ci sforza ad andare oltre i nostri limiti, e questa è una cosa importante: sta cercando di migliorare ogni giocatore sul campo. 

E’ quello che stiamo cercando di fare quest’anno". 

I TIFOSI

"C’è un rapporto particolare con i tifosi, siamo felici di quello che fanno. 

Venivano a parlare con noi quando le cose non andavano bene, e ora che le cose vanno bene continuano a parlare con noi: è giusto che sia così. 

Vogliono avvicinarsi alla squadra, e deve essere così: è una famiglia e combattiamo al fianco gli uni degli altri. 

Loro sono sempre al nostro fianco, noi andiamo in campo a lottare anche per loro".   

IL CLUB E LA SOCIETA'

"Andiamo in campo anche per il Presidente Rocco Commisso.

Da quando è arrivato a Firenze ha sofferto i primi anni per i risultati, e si vede quanto ci tiene: quando le cose non girano bene per la squadra ci soffre. 

E quando ci chiama e parla con noi e lo sentiamo così vicino e felice ci fa rendere ancora di più in campo e dare qualcosa oltre al massimo".

FIRENZE E LA TOSCANA

"Firenze la conoscevo molto bene già prima.

Abito a 45 minuti da Firenze, la conoscevo già bene. Venendo qui ancora di più.

Quando posso giro, ma non tantissimo: mi piace stare in casa. Sto in famiglia, gioco, sto sereno e penso a lavorare.

Sono toscano: ho vissuto tutta la mia vita qui. Ho giocato qui, sono residente in Toscana da 14 anni.

Sono toscano". 

IL RAPPORTO CON IL GHANA

"Torno spesso in Ghana.

Ho i miei genitori e le mie sorelle lì, oltre a tanti amici.

Torno ogni volta che posso, non mi può mai mancare, mi piace vivere lì: mi dà serenità e tranquillità.

Appena posso torno.

La mia famiglia e i miei amici mi rendono tranquillo e mi danno quella carica in più per andare avanti in ciò che faccio. Quindi vederli e parlarci sono cose fondamentali per me.

Quindi cerco di andarci il più possibile". 

FARE GOL

"Mi diceva sempre un allenatore che ho avuto in passato che la fortuna non esiste, ma bisogna prendersela. 

Per fare gol bisogna essere nella posizione giusta al momento giusto. Il gol con il Milan lo aspettavo da tanto tempo.

Non sono uno che segna tantissimo, ma non so perché mi sta mancando, mi sta mancando qualcosa per fare gol, il mio rendimento in campo non mi porta a fare tanti gol. 

Ma quei pochi gol che faccio mi rende troppo felice.

Dopo un gol per me è una liberazione, ed esulto come se fosse la fine del mondo".

LA VITTORIA SUL MILAN

"Penso che ogni giocatore viva per quei momenti. Per giocare in uno stadio così pieno contro una squadra così forte, con giocatori importanti da una parte e dall’altra. 

Poi quando vieni fuori così è una gioia inspiegabile. 

Te la porti dentro tutta la vita, ricordando sempre quel momento".

WHAT GOD CANNOT DO DOES NOT EXIST 

"Io sono molto credente. 

Credo, per me Dio esiste. Qualcuno dirà che non esiste, ma per me esiste. Se ci guardiamo intorno ci sono cose inspiegabili, e uno deve rendersi conto che ci sono cose più grandi di noi.

Ci sono alcune cose naturali che sono inspiegabili, quindi c’è qualcosa più grande di noi.

Penso che quello che non può fare Dio non esiste, perché può fare tutto. Può fare e può anche non fare.

Ci sono persone che bestemmiano, magari quando gli cade il telefono. Se riescono a nominare Dio, vuol dire che qualcosa c’è, però bestemmiano: perché gli danno la colpa? Vuol dire che crede che c’è.

Quello che può fare esiste, quello che non può fare non esiste". 

NOT ALL MAD MEN GO NAKED ON THE STREETS

"Ho inventato questa frase perché ci sono persone ‘non intelligenti’ che cercano di sfruttare gli altri. Per ‘non avere un cervello’ non serve fare cose da pazzi, tipo essere nudi in strada. 

Uno può essere ‘normale’ nel fare le sue cose, ma poi risultare ‘non normale’ se andiamo a vedere effettivamente cosa fa.

Le azioni sono più importanti delle parole: ciò che fai parla per te.

Non tutti quelli in ospedale sono pazzi, può esserlo chiunque.

Ci sono persone anche in posizioni di potere che non ragionano". 

LE GRANDI TEMATICHE

"Personalmente trovo sempre il tempo di pensare anche a ciò che farò in futuro. Devo essere sempre organizzato, sono fatto così. 

Vorrei essere sempre più organizzato possibile per ogni piccola cosa.  

Quando mi siedo a ragionare sulla mia vita mi vengono in mente alcune cose da fare, e altre da non fare. 

Ciò che posso migliorare, o ciò che posso evitare. E guardando la mia vita personale riesco a capire ed inventare certe cose. 

Quello che dico e che faccio si basa sulla mia esperienza".  

IL RAZZISMO E L'EDUCAZIONE

"In tutto il mondo il razzismo è radicato, quando analizziamo tutte queste sceneggiate razziste.

Alcuni tifosi non lo fanno per cattiveria, ma per dare fastidio ai giocatori avversari. 

E lo fanno anche alcuni giocatori nei confronti di altri giocatori. Lo fanno perché alla fine non hanno niente di diverso:  siamo in campo, da avversari, giochiamo entrambi in Serie A, giochiamo in squadre forti, quindi non abbiamo niente di diverso. E in quel momento l’unica cosa che può dirmi per darmi fastidio è quello.

Poi ci sono gli ignoranti, senza educazione. Ma non per colpa loro. E questa cosa io continuo a ribadirla: allo stadio trovi il padre che dice certe cose, e fa certi gesti davanti al bambino, che impara e cresce facendo ciò che fa il padre. E’ inevitabile. Il bambino cresce imitando il genitore. Le persone fanno quello che fanno prendendolo dai genitori. Quello che insegni ai bambini sono i valori che si porteranno dietro tutta la vita. I bambini devono ragionare con la loro testa, facendo la cosa giusta, e io cerco sempre di insegnarlo. Bisogna capire il come e il perché. Tanti genitori dicono ai bambini ‘quello è nero’ o ‘quello è giallo’, subito marcando una differenza col bianco. Il bianco non va sporcato, il nero lo puoi sporcare. L’educazione per me è alla base di tutto questo.

Quindi che uno lo faccia apposta, o che lo faccia per dare fastidio, per me il razzismo non finirà mai. 

Ci sono tante misure per diminuirlo, ma non vengono implementate. Vuol dire che le autorità non hanno la voglia di diminuire il razzismo. E andremo sempre avanti così. Quando uno vuole evitare una cosa fa di tutto per evitarla, ma se non lo fa, è cosciente, vuol dire che non lo vuole fare.

Faccio un esempio, e non ce l’ho con le autorità. Però, se una tifoseria fischia un giocatore di colore in campo, e la società venisse multata una cifra elevata, il club va dai tifosi e gli dice di smetterla. Non sono i tifosi a pagare le multe, ma le società. Oppure se il campo venisse squalificato per un numero elevato di partite, per esempio 5, verrebbero trovare delle situazioni. Fosse così tutto il campionato, il razzismo, secondo me, diminuirebbe.

Io la penso così, intanto per cominciare. Però se non viene fatto, vuol dire che c’è qualcosa che non va. 

A me è capitato tante volte di subire certe cose razziste anche dai giocatori, e non posso reagire. O meglio: potrei reagire, ma da fuori nessuno vede o sente ciò che mi è stato detto, e se andassi a parlare dopo mi direbbero ‘no, non ho detto così’. A chi credono? E’ la mia parola contro la sua. 

Reagire non è facile, e quando reagiamo qualcuno pensa che facciamo le vittime, ma non è così. 

Non è facile venire umiliato e abusato. 

Fa male. Non riesco a trovare il motivo. Siamo tutti diversi in questo mondo, ma siamo tutti uguali. Viviamo nello stesso pianeta, ma qualcuno ti vede diverso solo per il colore della pelle. Uno deve essere giudicato per la persona che è, non un’altra cosa.

Io posso solo andare avanti, per me non finirà mai. C’era 100 anni fa, siamo nel 2022 e continua a succedere, vuol dire che andrà sempre avanti così.

Dobbiamo essere sempre noi a subire, e nessuno sta facendo niente".  

LA COMUNICAZIONE SUI SOCIAL

"Io delle volte cerco di essere sincero.

A volte noi giocatori perdiamo tempo. Quando diciamo ‘Sono tre punti importanti’ lo sanno tutti. Hai vinto la partita, sono tre punti. Se pubblichi una foto ogni volta… Ho alcuni amici che vado a vedere, e i loro post sono sempre una foto e ‘tre punti’ nella caption. 

Se vinci il campionato metti 40 foto simili… cambia un po’!

I social per me non sono la vita reale, e dobbiamo cercare di essere un po’ trasparenti. Ci sono persone che pubblicano sempre cose false, foto fatte sempre bene, curate, non vedo mai nessuno che pubblica una foto brutta. 

Ci sta mettere le foto, eh, sono i social. Tanti lo fanno anche per i like, che a me non interessano. 

I social sono così: quando pubblichi le ‘cagate’ arrivano milioni di like, quando metti una cosa bella, sensibile, intelligente, non interessa a nessuno. 

Ognuno poi fa quello che vuole, a me i social interessano pochissimo anche se ogni tanto pubblico".  

LE INTERVISTE

"Quando faccio le interviste cerco sempre di essere equilibrato. 

I giornalisti fanno le domande sapendo già le risposte, eppure le fanno lo stesso. Delle volte c’è in mezzo una trappola, poi i calciatori ci cadono, e se ci cadono è un problema.

Noi giocatori diciamo quasi sempre le cose che vogliono sapere i giornalisti. 

A volte bisogna essere trasparenti. 

Non tutta la verità, però cerchiamo di essere un po’ realistici".

SEGUIRE IL CALCIO

"Per me è un po così-così. Ci sono alcune partite che mi piace vedere. 

Lo seguo nel mio tempo libero, ci sono alcuni giocatori che mi metto a guardare.

E’ un hobby, ma è anche un lavoro, che non finisce mai. Non finisce in campo. E’ come studiare: arrivi a casa e devi fare un esame di coscienza, su come ti sei allenato. 

Non lo dico perché è una intervista, ma io arrivo a casa - e mia moglie e i miei amici lo sanno - e se non mi sono allenato bene non sono felice. Cerco di non essere troppo triste perché il giorno dopo si riparte.

Perdo una partita o in partitella, mi girano le palle, perché poi ci prendiamo in giro tra compagni, ma torno il giorno dopo per cercare di vincere.  

Quindi guardo anche gli altri giocatori per imparare da chi è molto più forte di me e gioca a un livello superiore.

Troppo calcio non va bene neanche, non bisogna esagerare. 

Ogni tanto faccio anche altre cose, per stare tranquillo e scaricare l’adrenalina".

GLI IDOLI

"Crescendo ho visto tanti giocatori che ti fanno innamorare del calcio.

Igor e gli altri brasiliani con cui ho giocato lo sanno: quando vedo Ronaldinho posso smettere di fare qualsiasi cosa, mi fa proprio impazzire. Ti fa divertire e si diverte. Fa tutto in maniera naturale, non sta a pensare a ciò che deve fare. Fa tutto con una tranquillità estrema. Lui è il calcio. 

Crescendo, il giocatore che mi faceva impazzire era Xabi Alonso. Il suo modo di giocare, come vedeva le cose 3 ore prima degli altri, i suoi passaggi, la misura dei passaggi, come cambiava gioco, come dettava i tempi della squadra. Mi faceva impazzire. 

Poi quando ho iniziato ad allenarmi con la prima squadra all’Inter ho visto Thiago Motta. E mi ha fatto smettere di guardare gli altri. Era impressionante. Giocava solo di prima, e non sbagliava mai. Sono rimasto scioccato. 

E’ un giocatore che ho sempre ammirato, ed essendo mancino anche lui per me era tutto".

IL TEMPO LIBERO

"Gioco a Call of Duty, sono appassionato, mi fa impazzire. 

Leggo qualche libro ogni tanto, quando ho un viaggio lungo, sulla spiaggia. A casa difficilmente leggo.

A casa dedico il tempo a fare altro".

IL FANTACALCIO

"Non gioco al fantacalcio, non mi piace. 

A volte mi sembra un bel gioco, ma vedo che qualcuno esagera, e non mi piace.

Si scherza e si ride, ma ci deve essere sempre un limite. E c’è la gente che scrive delle cose su Instagram. ‘Mi hai fatto perdere la giornata’, o che insulta pesantemente.

Se faccio gol in primis è per me e per la squadra, non per il fantacalcio.

Io sono il responsabile: sono io che voglio fare la prestazione, l’assist o il gol.

Ho degli amici che mi scrivono: ‘Oh Alfred fai gol’ e io sono il primo che voglio far gol, non è che non voglio. 

Il Fantacalcio viene dopo. Può essere un gioco piacevole, quando c’è un limite.

Se vogliamo scherzare okay, ma ci deve essere un limite".

ALFRED TRA 20 ANNI

"Difficile saperlo. Quello che faccio oggi sarà determinante per il mio futuro. 

Cerco di fare sempre le cose fatte per bene, e di lasciare un buon ricordo ovunque io vada. 

Poi fra qualche anno vedremo". 

Intervista di Vieri Capretta

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