Prima Squadra

ONE ON ONE: LORENZO VENUTI

La meditazione, rappresentare Firenze, la monotonia del calcio. Venuti si racconta.

13 ottobre 2021

L’orgoglio di rappresentare Firenze, ma anche tutti ciò che ne consegue. L’importanza della forza mentale, la curiosità, la vita anche monotona di un calciatore. Lorenzo Venuti si racconta, vis-a-vis, come piace a lui.

IL PICCOLO LOLLO

"Il piccolo Lollo era un bambino vivace, più piccolo degli altri fisicamente. Volevo iniziare a giocare a calcio per mio nonno, perché piaceva a lui. Però ero troppo esile fisicamente e avevano paura che mi facessi male, perché comunque qualche botta la prendi, anche da bambino. Quindi iniziai col nuoto, e dopo che morì mio nonno passai al calcio. Solitamente i bambini iniziano a 5-6 a giocare a calcio, io ho iniziato a 7 anni e mezzo. 

Ero un bambino curioso. I miei genitori me l’hanno sempre detto, mi è sempre piaciuto interessarmi, chiedere, capire delle cose. Mi piaceva l’avventura. Dove stiamo noi c’era un ciliegio gigante, e mia nonna doveva sempre rincorrermi perché mi piaceva arrampicarmi. 

Sono sempre stato un bambino volto all’avventura e al cercare di scoprire cose nuove".  

LA SCUOLA

"Sono sempre andato bene e i miei genitori sono sempre stati contenti, perché portavo buoni voti a casa. 

Quando mi si sono intensificati gli allenamenti, quando con Montella spesso ci allenavamo la mattina e io andavo ad allenarmi con la prima squadra, non potevo andare a scuola. L’ultimo anno di liceo feci una serie infinita di ore di assenze. Però fortunatamente mi ammisero all’esame, mi diedero una mano e riuscii a passarlo. 

Però sono sempre andato bene a scuola, e i professori hanno sempre parlato bene di me".

SE NON AVESSE FATTO IL CALCIATORE…

"Sicuramente avrei proseguito gli studi. Tutt’ora è una cosa che preme, soprattutto al mio Babbo. Vorrebbe che oltre al calcio mi interessassi a qualcosa, che approfondissi qualche studio. La vita da calciatore è breve, e quando finisce c’hai tutta un’altra vita davanti, e a lui piacerebbe che provassi a buttarmi in qualcosa. 

E’ una cosa che ho nei piani, ma per ora no. 

Io ho fatto il liceo scientifico, però ad oggi mi piacerebbe di più qualcosa di umanistico. Mi piacciono molto le lingue. 

Sono curioso, quindi qualcosa che mi aiuti a scoprire nuovi posti, nuovi luoghi". 

LOLLO TRA 20 ANNI 

"Ad allenare adesso proprio non ci penso minimamente. Mi rendo conto che è proprio difficile. E’ impegnativo, e non so se riuscirei a mettere insieme tante teste di uno spogliatoio e a farle pensare come la mia. Ad ora l’allenatore no, poi potrei cambiare idea tra qualche anno. 

Mi piacerebbe probabilmente rimanere in ambito calcistico. Perché il calcio è una passione. Ce l’ho dentro, lo faccio nella vita e proprio mi piace.  

Però anche svariare su altri settori, che mi permetta di girare il mondo, soprattutto una volta avuti i figli, una volta che sono cresciuti. Qualcosa che mi faccia scoprire cose nuove. 

A me preme di cercare sempre di imparare, non voglio mai fermarmi, una volta imparato qualcosa ho sempre il desiderio di imparare di più, di imparare altre cose. 

Per cui se ci fosse un settore che mi permetta di accrescere la mia cultura e le mie conoscenze, mi piacerebbe".

 L’ADMIN E I SOCIAL

"L’ho fatto abbastanza l’Admin (ride, ndr), perché la gente pensa davvero che sia io. Capisco quanto siano importanti i social, ad oggi sono una fetta importante delle relazioni umani, e per far crescere le aziende.

Ma preferisco di persona, dove tocchi con mano le culture diverse, non basandomi solo su cosa c’è scritto su internet, o guardando filmati o documentari.

Però mi piacciono di più i rapporti vis-a-vis".

VIAGGIARE

"Il mio viaggio preferito, quello che mi è rimasto più dentro è stato in Madagascar. Proprio per questa mia voglia di conoscere e scoprire nuove cose, è quello che mi ha lasciato di più dentro. 

Lì mi sono reso conto di quanto abbiamo noi in Italia, in Europa, e spesso ci lamentiamo. E di quanto invece poco hanno loro, e con quel poco riescono ad essere felici. Vedere dei bambini dare calci a delle lattine… E non lo dico così qualcuno può dire ‘Guarda Lollo che cuore che c’ha!’, lo dico perché è veramente quello che mi è stato trasmesso, quello che mi è piaciuto. 

E’ l’Africa in generale, il Madagascar: una cultura pazzesca che ti può insegnare tanto.

Ora come ora non ho viaggi in programma.

Mi piacerebbe visitare tanti posti, per esempio in Oriente, Vietnam o India. Sono affascinato dalle loro culture e filosofie di vita. 

Senza tecnologia non si vivrebbe, ma si sono periodi in cui mi piace vivere con le cose base, come una volta, ti fa riscoprire veramente il senso della vita, i rapporti, le priorità, cose che sembrano secondarie e che qualcuno può abbandonare, ma che messe insieme, con tutta la tecnologia che c’è, diventano quasi più importanti. 

Ma momentaneamente in programma non ho nessun viaggio".

LA COMUNICAZIONE NEL CALCIO

"Sicuramente la comunicazione nel calcio tende ad essere monotona. Ma la vita del calciatore in generale è monotona. A livello di quotidianità ti ritrovi a ripetere sempre le stesse cose, e quindi ti viene anche ad esprimerti così dopo le partite, ripetendo le medesime cose.  

Anche perché c’è un pò di attenzione in più, perché sei sempre soggetto a critiche. Magari fai un’intervista lunga di mezz’ora, viene presa solo una frase e ci vengono scritti 50 articoli. Di conseguenza, essendo soggetti a queste cose, si tende a dire il minimo indispensabile. E il minimo indispensabile sono sempre le stesse cose: quando vinci son quelle, quando perdi sono altre. 

Se ci fosse più obiettività e oggettività da parte dei giornalisti che riportano le cose, e da parte nostra nell’esprimersi ci potrebbe essere una comunicazione migliore. 

Fintanto che ognuno tira l’acqua al suo mulino, si fa fatica".

LA VITA MONOTONA DEL CALCIATORE

"La vita del calciatore purtroppo è monotona. Si tende sempre a vedere il bello della vita del calciatore, ed è giusto così.

Però ci sono tanti sacrifici dietro, tantissimi. Quando arrivi a questi livelli, la tua vita si riduce a campo-allenamento-casa. Difficilmente uno trova tempo per cimentarsi in altro.

Noi calciatori tante volte veniamo visti come macchine. Spesso il giornalista critica perché pensa che dall’altra parte ci sia una macchina che non prova emozioni o altro. Invece siamo esseri umani anche noi e queste cose le percepiamo. Tanti giocatori ci soffrono per queste cose.  

Secondo me la bravura, non tanto del calciatore, ma dell’essere umano, sta nel trovare altro fuori dal campo che ci fa distrarre, oltre a rendere la vita meno monotona, può aiutare a sgomberare la mente, a distrarci. 

Soprattutto nei momenti di difficoltà, quando uno è soggetto a critiche o a periodi negativi". 

IL TEMPO LIBERO

"Qualche anno fa avrei detto che nel tempo libero mi piaceva uscire, fare serata, andare a divertirmi. Perché è importante, a qualsiasi età: uscire, staccare la spina.

Oggi però ho una visione della vita più riflessiva, più cauta. Mi piace molto stare a casa con la mia compagna, confrontarmi con lei, vivere le nostre cose. Dopo aver provato mille esperienze di serate, eccetera, credo che la cosa più appagante sia avere una famiglia, tornare a casa e vivere la quotidianità con loro. Le cose semplici: una cena tutti insieme, una passeggiata all’aria aperta…

Oggi queste sono le cose che più mi piace fare fuori dagli orari degli allenamenti e delle partite".

I SACRIFICI

"Fortunatamente non mi sono mai privato di quasi niente. Ovviamente qualcosa sì, per forza di cose. 

La mia fortuna è stata quella di avere un gruppo di amici che non mi hanno mai fatto pesare il fatto di non esserci o di non uscire con loro. Hanno sempre capito quale fosse la mia strada e dove volevo arrivare, sapevano che quello sarebbe potuto essere d’intralcio. E questo è stato un punto a favore per non soffrire così tanto quella mancanza di divertimento.

E’ qualcosa che più mi pesava lì per lì. Ma adesso non mi provoca rimpianti". 

L’AMICIZIA NEL CALCIO

"E’ scontato ed ovvio che alcune persone ti si avvicinino quando sei calciatore. La gente che cerca l’amicizia fittizia, l’amicizia per un ritorno, c’è sempre. E fa parte del gioco.

Tralasciando le amicizie che ho da sempre, fin da bambino, che rimangono e rimarranno sempre, io ho avuto la fortuna di giocare in posti, come ad esempio Benevento e Lecce, dove ho conosciuto persone vere, persone che mi si sono avvicinate per un motivo o per un altro, e mi facevano piaceri per il gusto di farmi stare bene. Non tanto per ricevere la maglietta in cambio, o il biglietto allo stadio… Sono persone con le quali ho instaurato amicizie vere. Sono amicizie che vanno avanti nel tempo, anche se non li senti tutti i giorni, perché è normale, è difficile sentirsi tutti i giorni quando vai via dai posti. Ma io so e loro sanno, che nel momento del bisogno io ci sono e loro ci saranno. E questo è bellissimo. 

Sono amicizie che quasi non ti aspetti, rapporti che nascono dal niente. Nel mio caso sono con persone che come età non c’entrano niente con me. 

Ma si sono instaurati dei rapporti veri grazie alle esperienze vissute insieme.

Per quanto ti fanno stare bene, quando percepisci che il tuo star bene fa star bene loro, ti senti quasi in dovere di ricambiare, e lo faccio con gioia".

ESSERE FIORENTINO NELLA FIORENTINA

"Come ho sempre detto a me rende orgoglioso. Mi dà orgoglio a dei livelli non descrivibili a parole. 

Rappresentare la mia città, essere visto come simbolo, per me è un sogno che si realizza.

Dall’altro lato diventa stucchevole, me ne rendo conto. Tante volte si tende a guardare il ‘Lollo fiorentino’, il ‘Lollo cresciuto nel settore giovanile’, e si trascura il Lollo calciatore.

C’è anche il Lorenzo Venuti che scende in campo, non c’è solamente il Lorenzo Venuti che rappresenta Firenze perché ci mette il cuore. C’è il Lorenzo Venuti che ha qualità tecniche, fisiche e tattiche. Che possono essere messe in discussione, e questo è fuori dubbio.   

Porterò sempre Firenze su un piedistallo, ne parlerò sempre bene, e mi fa sempre piacere parlarne, ma mi rendo anche conto che possa diventare stucchevole. 

Parlo anche da professionista. Ogni calciatore ha degli obiettivi, ognuno di noi ha dei sogni nel cassetto, delle aspirazioni. Ipoteticamente, dovessi rimanere in panchina sempre e non vedere mai il campo, ed essere solo quello che dimostra affetto per la maglia e sta lì, non ha senso. Pur andando contro il mio affetto per la Fiorentina, e mi dispiacerebbe molto per Firenze e la Fiorentina, sono i miei obiettivi, la mia mentalità di cercare sempre di migliorarmi. 

La mia missione è di sfatare il mito che non esista profeta in patria. Perché ci sono tante persone che dicono che Lollo è solamente quello che rappresenta Firenze e ci mette il cuore, ma poi per il resto non fa niente. 

Invece no, voglio dimostrare che c’è sì il Lollo che in campo sputa l’anima, che in campo dà tutto quello che può dare. 

Ma c’è anche il Lollo che in campo fa cose fatte bene, che ha un valore e cerca di dimostrarlo in campo, non solo mettendoci tutto, ma anche a livello tecnico e tattico".

STILE E TATUAGGI

"Tutti i tatuaggi che ho fatto hanno un significato. Ora sono alcuni anni che mi sono fermato. 

La moda e lo stile non sono mie priorità. Anche la mia ragazza me lo rimprovera e dice: “Lorenzo, non ti ho mai visto entrare in un negozio a comprare qualche vestito, vai in giro sempre con gli stessi!”

Non è una mia priorità, non mi interessa, semplicemente. Non la reputo importante".

SUPERARE LE DIFFICOLTA’

"Di esperienze da raccontare ce ne sarebbero tante, di esperienze negative ne ho vissute tante. 

Per esempio, il primo anno uscito dalla Primavera, tra i professionisti, un ragazzo normalmente deve dimostrare di poter stare nel calcio dei grandi, deve giocare, e io sono andato a Pescara con un ginocchio rotto. Ho fatto zero minuti in tutto il campionato.

Chiunque mentalmente avrebbe potuto mollare in una situazione del genere. 

Invece, da un’esperienza così negativa sono riuscito a trarre le cose positive. A vedere il bicchiere mezzo pieno, e sicuramente a crescere come uomo. E’ stato il primo anno fuori da casa, la prima esperienza lontana dalla famiglia. Senza nessuno che ti può dare una mano. E senza la cosa più importante per un calciatore: vedere il campo.

Sono cresciuto tanto mentalmente, come persona. 

Ho imparato a reagire con la giusta misura a quello che mi succedeva".  

CURA DEL CORPO E DELLA MENTE

"A livello fisico siamo seguiti sotto ogni punto di vista come professionisti dalla società stessa. 

Poi ognuno è libero al di fuori degli orari d’allenamento di prendersi cura di sé come vuole. Ma io sono uno che fa sempre riferimento alla società, parlo sempre con loro e mi faccio consigliare da loro e non ho nessuno extra che mi segue.

A livello mentale invece, ho scoperto quanto l’allenamento mentale vada di pari passo con quello fisico. 

Sono seguito da un mental coach. 

Tante volte si commercializza la figura del mental coach. Si pensa che il mental coach sia quello che ti dice ‘fai questo, fai quello’, che ti dice le cavolate di scrivere il numero accanto al tuo perché porta fortuna, oppure che ti dice le frasi motivazionali… Non è così.

Io ho un lavoro e un allenamento mentale. Io tutte le mattine e tutte le sere prima di andare a letto medito 10 minuti. Ho un diario dove ogni sera scrivo e annoto pensieri o situazioni capitate durante la giornata, senza forme corrette verbali o grammaticali. Solo pensiero libero per sfogarsi e rendersi conto di quello che ho vissuto.

Il mio mental coach, Stefano Tavoletti, è una persona che mi aiuta, come se fosse un maestro. Mi dice ‘quella è la via’, ma poi la via la percorro io. Sono io che percorro questa via, che vivo le mie esperienze, faccio i miei errori, e come tali li devo vedere. Una volta che commetto un errore non devo fasciarmi la testa: lo devo vedere, prenderne atto e cercare una soluzione. La consapevolezza di un errore è la prima cosa per trovare una soluzione. 

L’allenamento mentale deve essere una cosa che quando la fai ti stanca. Ti deve lasciare qualcosa, non può essere campata per aria. 

Ci devi credere fortemente, e ti devi impegnare al massimo, dando tutto te stesso, così come ti impegni al massimo in allenamento". 

L’IMPORTANZA DELLA FAMIGLIA E DEL PAESE

"Questo mio modo di essere e di pensare dipende tanto dalla famiglia, dove cresci e con quale mentalità.

Io vengo da un paesotto. E spesso si dice che quelli dei paesi sono più ignoranti di quelli della città. Invece secondo me no.

Vivendo in città spesso ti trovi ad affrontare le situazioni della vita troppo in fretta, tutte una dietro all’altra. Come se le cose arrivassero prima. 

In paese, fuori dalle città, tutto segue un corso più naturale. Ognuno cresce passo dopo passo, come deve essere fatto. Avendo meno possibilità della città impari ad arrangiarti. Vedi la vita in maniera diversa, rispetto a vedere la vita in maniera più agevolata come ci può essere nella città. 

In un paese non ci sono certe comodità. 

Questo mio venire da un paese, e questo mio carattere che mi porta a voler apprendere, imparare, chiedere… 

Credo che mi abbia aiutato ad avere una capacità di ragionamento ed una mente così aperta".

LA FIORENTINA E L’ANNO ZERO

"Sono contento della fiducia della società. La sento. Sento la responsabilità e la fiducia. Per un giocatore avere la fiducia della società è fondamentale. 

E’ obbligatorio che sia l’anno zero, dopo gli ultimi anni. Ci voleva un punto di inizio, ed è questo. La mentalità di quelli nuovi deve essere di entusiasmo, così come di chi ha vissuto le esperienze passate, imparando dagli errori. 

Deve essere una rinascita. Quello che è stato è stato, da ora si ricomincia.

Dobbiamo lavorare quotidianamente, ripetere fino alla morte quello che vuole l’allenatore, sposarla a pieno e trovare un’identità riconosciuta. Dobbiamo sentirci dire ‘voi siete quelli’, è una delle cose più belle. 

C’è entusiasmo, c’è l’allenatore nuovo, una nuova filosofia di gioco e di pensiero. E la sposiamo. Fondamentale è avere un’identità, prima ancora di avere obiettivi".

IL FANTACALCIO

"Non mi interessa. 

Ci hanno provato a buttarmici dentro, ma non m’interessa. E le cose che non mi interessano difficilmente mi ci butto. 

Sono una persona che se c’è da prendere un rischio me lo prendo, però ascolto molto le mie sensazioni. 

Se c’è da provare cose lo faccio, ma proprio non mi è mai interessato".

SEGUIRE IL CALCIO

"Quando sono a casa lo guardo. Soprattutto di negli ultimi anni.

Da quando ho avuto De Zerbi a Benevento ho avuto un modo diverso di vedere il calcio. Più con un occhio quasi da allenatore, meno da tifoso, e ho iniziato a guardarlo, soprattutto le squadre top di club.

Se uno vuole migliorarsi deve guardare sempre i migliori. C’è sempre da apprendere, ma soprattutto da i più forti.  

E lo guardo cercando di rubare sempre qualcosa, qualche dettaglio, movimento… Rientra sempre nell’allenamento mentale: quando fai qualcosa falla con piena presenza mentale, così che ti possa aiutare in qualche modo. 

Spesso facciamo cose in automatico. Facciamo tante cose per abitudine, e farle invece con presenza mentale può aiutare a notare tanti dettagli.

Quindi quando guardo il calcio lo faccio in quest’ottica. 

Se mi metto alla televisione a guardare una partita, cerco di rubare qualcosa, non lo faccio tanto per fare".

ESPORSI

"Mi piace parlare, se ho conoscenze. 

Se posso essere di stimolo per altre persone, se ho conoscenze delle cose, mi piace espormi. Se invece non ho conoscenze in un settore non parlo, non sto a raccontare qualcosa che mi è stato detto vagamente. 

Prima mi informo, mi faccio la mia cultura e la mia idea, allora poi ne possiamo parlare. 

Sugli argomenti dove posso dare consigli, allora parlo".

QUEL FIORENTINA-BENEVENTO

"Sono sensazioni forti.

Mi ricordo quando arrivammo a Firenze e mi fecero appendere la bandiera del Benevento fuori dal cancello dell stadio. Mi ricordo che fui pervaso da una sensazione che non era un’emozione, ma un’insieme di emozioni. Una mancanza che percepivano tutti, ogni persona. La mancanza di Davide nello spogliatoio della Fiorentina era di tutti, è come se tutti fossero stati presenti in quello spogliatoio e sentissero questa mancanza di Davide.

Quella partita fu qualcosa di surreale. Con lo stadio pieno, ma come se fosse a porte chiuse. E’ qualcosa che ti segna. 

Ci sono quelle 2-3 esperienze nell’arco della vita che ti ricorderai per sempre e che ti lasciano qualcosa dentro e sicuramente è una di queste".  

Intervista di Vieri Capretta

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