Prima Squadra

ONE ON ONE: RICCARDO SOTTIL

Ambizione, calcio come ragione di vita, le ragazze e la moda. Sottil si racconta.

26 luglio 2021

Ambizione, DNA, calcio come ragione di vita. Riccardo Sottil racconta la sua storia, come diventare calciatore, i sacrifici, le rinunce cosa significa il calcio, la moda, i capelli, la comunicazione e le amicizie nel calcio. Tornato alla Fiorentina, è pronto a mettere la sua qualità al servizio della squadra, per puntare sempre più in alto.

COSA SIGNIFICA IL CALCIO

"Il calcio per me è ragione di vita. 

Da piccolo, mio padre giocava a calcio, una vita in Serie A, adesso fa l’allenatore. Quindi sono nato già nella culla col pallone. I primi regali dai miei zii o nonni sono sempre stati palloni. 

Però quello che dico sempre anche ai miei amici è: ‘Il calcio è DNA, però va sviluppato con il lavoro’. Il talento te lo da madre natura, ma non devono mancare costanza e attitudine al lavoro. È quello che fa la differenza. 

E’ normale che crescendo nella mia famiglia, con mio padre calciatore, tutta la famiglia calciofila, l’argomento in casa è sempre il calcio. Andavo al campo con mio padre, stressavo mio padre per andare al campo, negli spogliatoi con loro, prendevo le scarpette degli altri giocatori, le lucidavo. Per me è un’ossessione da quando ero veramente piccolo, da quando avevo 4-5 anni. 

Mio padre era a Genova, Reggio Calabria, e io uscivo da scuola, lui aveva allenamento il pomeriggio e lo pressavo finché non mi portava, e su quello mio padre è sempre stato fantastico.

Per me, il calcio è veramente tutto".  

ESSERE FIGLIO D’ARTE

"Essere figlio d’arte può mettere aspettative. Però la pressione non l’ho mai sentita. Mio padre è sempre stato un grande, non mi ha mai messo pressione, anzi. E’ sempre stato il più sereno del mondo. Ci confrontiamo, pre e post partita, su concetti e altro, perché lui comunque mastica pallone fin da quando era piccolo, e oggi fa l’allenatore. Mia mamma non ce la fa più a sentire i discorsi di calcio, sempre di calcio. 

Tante volte è capitato da altri genitori o ragazzi che dicessero ‘Quello gioca perché è figlio di…’, purtroppo. Quando sei più grande non succede più. Però da piccolo sì, per i genitori c’è tanta competizione tra i genitori stessi, una cosa che secondo me fa male al bimbo che gioca a calcio. 

Il ragazzo deve essere spensierato, deve divertirsi: il calcio è gioia e divertimento".

ANDARSENE DA CASA

"Mi ha forgiato quando mi sono trasferito da Torino a Firenze. 

Quando la Fiorentina mi ha preso all’età di 16 anni. E’ stata la mia prima esperienza fuori da casa a Torino. Avevo i nonni, gli zii, i miei genitori, con mio padre che però allenava quell’anno a Siracusa e faceva avanti e indietro, così come mia mamma. 

Ero sempre ovattato, erano sempre là a farmi fare tutto, a portarmi a destra e a sinistra. 

Quindi uscire di casa, stare da solo, arrangiarmi da solo, aggiustarmi in convitto, e la roba da lavare, pensare alle mie cose da solo, il tutto in una città come Firenze, bellissima ma anche grande per un ragazzino di 16 anni. 

Sono arrivato ed era bello, ma dovevo aggiustarmi. 

Mi ha segnato tantissimo". 

DIVENTARE CALCIATORE

"Quando ero piccolo, a 4 anni mi chiedevano cosa volessi fare da grande, ho sempre risposto che volevo fare il calciatore. 

L’ho voluto talmente tanto da piccolo che non me ne è fregato niente di fare i sacrifici. Tanti vedono solo la facciata, ma dietro c’è tanto. Ci sono tanti sacrifici. La famiglia lontana, per tanti anni. Mio fratello cresciuto lontano da me. I sacrifici li fai. 

Ma il mio obiettivo è sempre stato questo, e sono sempre andato dritto per la mia strada, ho sempre dato il massimo. 

E ancora non ho fatto niente, bisogna fare ancora tanto". 

 

L'AMBIZIONE

"La testa e l’ambizione nel calcio fanno la differenza. 

Le qualità le hai, ma vanno abbinate al cervello, alla testa, a come ti alleni e come fai le cose. L’ambizione deve essere la prima cosa per un giocatore per stare ad alti livelli per tanti anni. 

Uno deve ambire a migliorarsi sempre, deve ambire a migliorarsi ogni domenica.Devi ambire a migliorarti ogni giorno in allenamento. Anche la competizione è importante. 

Uno deve avere ambizione, nel calcio come nella vita". 

FARE I SACRIFICI

"Personalmente l’ho sempre vissuta bene. 

A me è venuto sempre tutto molto naturale. Per esempio, non andare in discoteca, non fare tardi la sera, mangiare bene, non bere, non fumare. Tra l’altro non ho mai toccato niente, è una cosa che non mi piace. Anche l’odore del fumo mi dà fastidio. 

E’ una cosa che mi è venuta molto naturale, non mi sono mai sentito costretto a rinunciare a qualcosa. Sono sempre stato io a gestirmi, ad andare a letto presto se ho l’allenamento il giorno dopo. Il recupero per un calciatore è fondamentale. 

Quindi non mi è pesato tanto, perché volevo questo fin da piccolo.

I sacrifici veri sono altri, io vengo pagato per giocare a calcio". 

CURARE IL CORPO 

"La nostra azienda nel calcio è il nostro corpo. Più sta meglio e più ti fa fare la prestazione, ti fa andare più forte. Ogni minimo dettaglio va curato, dall’alimentazione, al recupero, al ghiaccio, il post allenamento, il post partita. 

Non ho segreti, ma faccio quello che devo fare. Sto attento all’alimentazione. E’ normale sgarrare, non siamo robot, magari quando sono in vacanza. Quando hai un giorno libero, ti concedi qualcosa, siamo essere umani. Ma non è il dolce o la bibita in più, qualche volta, che ti fanno la differenza. 

Il corpo è ciò con cui lavori, e lo devi trattare alla perfezione". 

L'AMICIZIA NEL CALCIO

"Devi stare attento. Tanti in questo mondo si avvicinano perché 'sei', perché giochi nella Fiorentina, perché vogliono tante cose. 

Io mi sono sempre portato dietro gli amici che avevo da piccolo, che giocavano con me al campetto, che sono ancora i miei amici del mio paese. Sono persone che le vedi per come sono. Non provano un minimo di invidia. Sono i primi tifosi, mi scrivono prima e dopo la partita. Mi chiamano sempre, mi supportano. Ho coltivato questa cosa. Sono quelli con cui giocavo da piccolo, con cui giravo al paese. E poi c’è la famiglia, e per chiunque nella mia famiglia metto le mani sul fuoco. 

Anche con le ragazze devi fare attenzione. Perché magari è una cosa vera, ma trovi anche ragazze che si avvicinano per svariati motivi. Devi essere sempre intelligente. 

Ma dico sempre che in questo mondo se non ci fossero le ragazze, non sarebbe così bello. Le donne danno quel tocco di qualità in più, sempre. 

Se in serata vedo qualche ragazza che mi piace, al tavolo vicino, in qualche locale, in estate o in inverno, ci vado, ci parlo e non sono uno timido. Non sono uno che magari scopre il nome e scrive su Instagram. Se è là, parlaci di persona. 

I social sono diventati uno strumento tra i più utilizzati. Trovi chiunque in un millesimo di secondo. Se vuoi sapere un nome, chiedi a un amico ‘come si chiama quella?’, poi cerchi e la trovi. 

Io uso anche i social,
ma se mi piace una ragazza e la vedo di persona, vado e mi presento".   

LA COMUNICAZIONE NEL CALCIO

"Forse noi calciatori siamo troppo schematici nelle interviste. Magari nelle interviste, gira e rigira, diciamo sempre le stesse cose, che poi sono le cose giuste da dire. Dopo una vittoria, o dopo una sconfitta, se tu vai a vedere le interviste dei giocatori, più o meno, cambiando le parole o girandole in modo diverso, le interviste sono sempre quelle. Qualche volta un pizzico di spontaneità in più ci starebbe. 

La sincerità c’è, perché alla fine le domande che ci vengono poste sono sempre le stesse: ‘Come mai hai fatto così, come mai hai fatto quella scelta lì, come vi trovate nel gruppo?…’.  

Per esempio, De Roon e Ibrahimovic sono due esempi. De Roon sui social è simpaticissimo. Lui è uno che fa ridere. E Ibrahimovic è un personaggio. Poi è un fenomeno, un campione in campo, ed è sempre stato così nella comunicazione, ha quella linea. 

Alla fine le domande sono spesso sono le stesse.
Però qualche volta un pò di spontaneità in più mi piacerebbe".

LO STILE, LA MODA, I TATUAGGI E I CAPELLI

"Ho tre tatuaggi. Il primo è questo sulla mano, è il nome di mio fratello. Poi ho il nome di mio padre e mia madre, e poi sulla schiena ho la scritta ‘Blessed’, che è ‘Benedetto’ in inglese.

Vi svelo l’aneddoto sui capelli. Da piccolo ho avuto sempre i capelli lunghi. Poi fino a prima del lockdown sempre corti. Durante il lockdown mi sono trovato in una situazione intermedia, né lunghi né corti. Allora li ho fatti crescere, non li ho tagliati, ho fatto l’estate e poi tutto l’anno così, e adesso li tengo così. 

Io sono malato di vestiti. Mi piace. Mi piace vestirmi bene, comprare i pezzi particolari. Su Instagram c’è talmente tanta roba… Seguo tanta gente, la musica. Instagram è una vetrina. A me piace tanto la musica rap. Ci sono macchine, gioielli, abbigliamento, orologi. Ormai vedi un pò tutto e puoi vedere cosa è bello, cosa è interessante. Vado a ricercare i pezzi giusti, la scarpa giusta, quella che non vedi in giro. 

Io non mi vesto tanto classico, non mi piace essere sempre in camicia. La sera mi vesto anche così, con la camicia e il pantalone giusto elegante. Ma sono uno più easy, rilassato. 

La moda è un mio punto debole, comprare vestiti mi piace veramente tanto". 

IL LEGAME CON FIRENZE

"E’ un legame forte. Sono arrivato che avevo 16 anni, ho fatto tutta la trafila, dagli Allievi, ai due anni di Primavera, all’esordio in prima squadra, e poi un altro anno in prima squadra. Ho un bellissimo legame.

Ho dei posti del cuore, da Piazza della Repubblica, Ponte Vecchio, Fiesole… Però c’è un posto su a Fiesole dove vado spesso a mangiare con la mia famiglia, alla Reggia degli Etruschi. Ci andiamo spesso anche perché li conosciamo bene, siamo andati tante volte e si mangia veramente bene. Sto bene e mi sento a casa. La vista è splendida, si vede tutta Firenze. Vado parecchie volte. Vado tante volte anche in altri ristoranti, ormai li ho girati tutti. E la cucina fiorentina e toscana è buonissima.

Quando sono a Firenze dico sempre che mi sento a casa. A Torino, è normale, ho la mia famiglia, ma quando sono a Firenze sto proprio bene. Può capitare con alcune città di sentirsi distaccato, ma a Firenze mi sento proprio bene. 

So come muovermi, so dove andare, conosco la città e la gente,
sono qui da tanti anni e mi piace veramente tanto". 

AFFERMARSI IN PRIMA SQUADRA

"Ho esordito contro la Sampdoria, con Pioli, poi contro il Napoli alla prima di campionato con Montella ho giocato la mia prima partita da titolare. Fu una partita bellissima, con una cornice di pubblico meravigliosa. 

Poi il mister cambiò il modulo e non era proprio consono al massimo con le mie caratteristiche. Siamo passati al 3-5-2 e il ruolo di quinto è completamente diverso da quello di esterno offensivo. Ci vogliono caratteristiche diverse, corse diverse. Se sei un esterno a fare il quinto sei un pò sacrificato: se ti piace dribblare e attaccare, lì sei più limitato. Poi giocavamo bassi, partivamo con tanto campo davanti. 

La fiducia per un calciatore è importante, tantissimo. Poi sono passato da Cagliari, ho fatto bene e ho giocato tanto. Di Francesco, come Mister Italiano, sono allenatori che prediligono il calcio palla a terra, il gioco, le combinazioni degli esterni. Mister Italiano è un allenatore che ti insegna. Appena è arrivato ci ha detto che per lui il pallone è una ragione di vita, e si vede da come cura i dettagli, da come ti sprona. 

A Cagliari e con l’Europeo Under 21 sono state grandi esperienze. 

Ora sono tornato alla Fiorentina e sono pronto per questa stagione".

LA ROVESCIATA

"La rovesciata è un gesto che è mio. Faccio più fatica a farla di destro che di sinistro. Il destro è il mio piede forte, ma è così. 

Tanti mi chiedono il perché, ma a me viene naturale farla di mancino. Non me l’ha insegnata nessuno, fin da piccolo mi è venuta naturale. Che sia allenamento o partita, se ti capita la palla giusta perché non farla? 

Farla in allenamento è un conto, in partita un altro".

I COMPAGNI DA CUI IMPARARE

"Essendo giovane ho imparato da tanti compagni. Ho solo 22 anni e ancora tantissimo da imparare, ognuno mi ha dato qualcosa, qua a Firenze tanti. 

Da i più esperti ho sempre imparato tanto, sono compagni che aiutano e danno consigli, tutti. Tutti aiutano i più giovani e lo vedo con i Primavera. 

Per un giovane è importante". 

IL FANTACALCIO

"Il Fantacalcio l’ho fatto una volta, 3-4 anni fa, quando ero in Primavera o Allievi Nazionali, non ricordo di preciso. L’ho provato con dei miei amici, ma non mettevo mai la formazione, mi dimenticavo sempre. Allora ho detto: ‘E’ la prima e ultima volta che lo faccio’. 

Ogni volta devi mettere la formazione, guardare i probabili titolari, come schierare la squadra… non fa per me. Questi giochini qua non fanno per me. I miei amici sono infognati, martelli pneumatici e mi chiamano: ‘Fra, mi raccomando, ti ho messo questa giornata!’. 

E tantissima gente mi scrive nei direct di Instagram, è un gioco che fanno in tanti". 

RICCARDO TRA 20 ANNI

"Qualche volta ci penso a cosa farò tra 20 anni. 

Tra 20 anni mi piacerebbe godermi la famiglia, i miei figli con mia moglie o la mia compagna. Dopo aver fatto il mio percorso, la mia carriera, prima di iniziare qualcosa, da l’allenatore o un’altra attività, penso che un pò di anni a godermi la famiglia e i figli li farò. 

Un calciatore è sempre in giro, devi girare tanto. E' presto per dirlo. 

Ma stare un pò in un posto fisso con la famiglia e un pò di anni di relax".  

Intervista di Vieri Capretta

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